Professione Blogger è nato per rivalutare la professione dei Blogger e Content Creator: ha un intento proattivo, formativo e anche ‘politico’, se vogliamo (apartitico, ma che riguarda gli aspetti più generali della professione, la sua dignità e il suo valore reale e percepito).
Quando abbiamo iniziato a costruire questo progetto (che adesso vedete solo in minima parte, perché c’è tanto altro che sta per nascere), ci siamo chieste come poter essere considerate professioniste a tutti gli effetti. Perché spesso i Blogger e gli Influencer vengono scambiati per cartelloni pubblicitari (o accettano di diventarlo), i cosiddetti uomini sandwich. Si ‘lavora’ gratis per qualche pacco di farina o un essiccatore in prestito per una settimana, oppure mostrando unboxing tutti uguali uno dietro l’altro: questo fa bene alla professione? E fa bene ai Brand?
La risposta non l’abbiamo, ma abbiamo delle proposte da farvi.
Perché un Brand sta sui social e vuole comunicare online? Per vendere.
Vendere alle persone che hanno i suoi stessi valori, ovvero al suo target.
Non è online per fare beneficenza, né per regalare prodotti a caso agli Influencer per provare a fare la pesca a strascico con i clienti, raccattandone un po’ qui e un po’ là.
Quando guardo questi unboxing, e queste tonnellate di omaggi, il mio primo pensiero è: quanto spreco. Uno spreco di risorse, di strategia, di adesione ai valori e anche di sostenibilità.
Penso che sia come un’abbuffata continua, dove non importa cosa ricevi e da chi lo ricevi, ma quanto ricevi.
È una corsa ad accumulare quello che non ci serve e a liquidarlo in un paio di storie su Instagram, con un ‘WOW che bello, grazie!’ – e via con il brand successivo.
Tanto che, spessissimo, ci vengono proposte una sequenza di storie una dietro l’altra, con dieci unboxing di fila, dieci WOW, uno via l’altro. Magari anche nella stessa categoria merceologica: 3 rossetti WOW di brand diversi, 3 creme viso WOW di brand diversi, eccetera.
Ora, chiariamoci: gli Influencer fanno bene. Non chiedono niente (per lo meno non quelli seri), ricevono, ringraziano cortesemente e fanno già più del necessario, taggando aggratis il brand.
(Una piccola nota: amministrativamente parlando, i prodotti omaggio fanno reddito, e vanno segnalati nella dichiarazione dei redditi, lo sapevate?).
Lato Brand, sarebbe interessante capire il ROI di questo investimento. Perché è vero che il prodotto omaggio ha un costo (sia in denaro, sia amministrativo) decisamente inferiore a una collaborazione professionale: ma funziona? Converte? E soprattutto: condivide il valore con la nicchia di riferimento?
Io ho un po’ l’impressione che questi omaggi siano diventati come le ceste di Natale che i nostri nonni mandavano al curato o al medico di famiglia, 40 anni fa: la cesta con dentro la bottiglia di vino, la cioccolata e il panettone, perché non potevi non mandarla. E probabilmente è così oggi anche per i Brand: se hai una nuova collezione, il tuo ufficio stampa o i tuoi PR non possono non mandare la demo alle 10 Influencer di riferimento. Indipendentemente dal fatto che questa cosa funzioni o no, commercialmente parlando.
Noi però continuiamo a credere che esista un altro modo di fare native advertising, più vantaggioso per tutti.
Perché amiamo la pubblicità, non solo come Blogger, ma soprattutto come utenti.
Quindi ci permettiamo di darvi 10 idee per promuovere meglio i vostri prodotti, anche omaggio, perché secondo noi vi meritate più di un rapido WOW tra un unboxing e l’altro.
Omaggi sì, ma esclusivi
Se l’omaggio è imprescindibile, allora provate a mandarlo solo a UNA persona. Un Influencer scelto con cura, il quale in maniera esclusiva potrà testare quel prodotto omaggio avendo la certezza che le sue storie non andranno a confondersi con altre tutte uguali.
Per esempio lo stesso Brand potrebbe inviare il nuovo rossetto a una Blogger con le labbra particolarmente belle (vedi Annie Mazzola con la collaborazione con Espressoh) o un incarnato stupendo (vedi Camilla Boniardi aka Camihawke con i due rossetti liquidi EVER di WeMakeUP, che hanno preso anche i suoi iconici nomi di ‘umile’ e ‘borghese’).
O ancora: sorvegliate i social e ascoltate le Influencer, studiatele nel modo in cui interagiscono realmente con i loro follower (che sono persone!). Ascoltate le conversazioni per fare instant marketing fatto bene. Penso a Giulia Torelli aka Rock’n’Fiocc, che adora il Sanbitter e appena ne ha parlato su Instagram scherzando con il suo Beppone, Sanbitter le ha mandato una confezione del suo bottiglino preferito + gli altri gusti.
Ambassador è meglio che Sandwich Man
Proprio come le due Influencer citate sopra, possiamo parlare di Ambassador del Brand. Chiunque le segua, assocerà sempre quel marchio al loro nome, e viceversa: io non ho bisogno di vedere Annie che ogni giorno tagga Espressoh quando parla nelle storie con il suo rossetto rosso, perché lo so già! Lei è la sua Ambassador e per me è scontato che QUEL rossetto sia di QUEL Brand.
Ed è chiaro che l’Ambassador va retribuito, perché è a tutti gli effetti un PR. Ma è proprio a quell’Ambassador che, secondo me, va inviato l’omaggio due settimane prima che il prodotto esca nei negozi, e va inviato esclusivamente a lui.
Il Brief lo scrive l’Influencer, non l’agenzia o il Brand
Se avete scelto un determinato Influencer, entrambi condividete gli stessi valori. Quell’Influencer, dunque, non ha bisogno di ricevere il vostro brief in cui vi definite ‘leader di mercato’ o in cui chiedete un contenuto ‘che sia al tempo stesso emozionale, ma anche publiredazionale’ (true story).
Se vi interessa veicolare il vostro brand con le esatte parole che avete stabilito al tavolo con il vostro AD (a cui prima o poi, cari amici creativi, bisognerà dire che quel brief è una ‘cagata pazzesca‘, cit.), allora non vi serve un Influencer: vi serve una pubblicità in televisione, oppure una creatività sotto forma di banner o annuncio a pagamento sui blog o social.
Quello che deve accomunare Brand e e Ambassador è il tono di voce comune e il valore comune. Il brief, allora, lasciatelo scrivere all’Influencer, e voi leggetelo per vedere se vi sentite rappresentati.
Esempio: Garnier con Lucia del Pasqua, a cui il Brand ha detto: fai tu che sai. Noi facciamo gli shampoo, tu fai i contenuti. TOP.
La pubblicità non deve essere interruttiva
Se c’è una cosa che ormai è evidente a tutti, è che l’advertising interruttivo ha stufato. Per lo meno: gli utenti sono stanchi di ricevere pubblicità in modo passivo, dovendo fare lo slalom tra i rich media per leggere un contenuto.
La pubblicità non deve più interrompere il flusso dei contenuti, ma deve essere un contenuto essa stessa.
Deve interessare, commuovere, far divertire… Possiamo citare i The Jackal, ad esempio, con una delle prime pubblicità di native advertising in assoluto (era il 2016) una delle più belle che io abbia mai visto, quella per Carrefour, dove prendevano in giro i follower che li consideravano dei venduti per aver iniziato a guadagnare dai propri video, con l’epocale video #LaMarchetta – Quando sei in bagno e finisce la carta igienica.
Evitiamo di esaltare i prodotti in modo WOW
Spesso quello che vediamo fare sui social e sui blog è davvero l’effetto WOW, AMAZING! per ogni tipo di prodotto, dal dentifricio alla pasta: sembra che ognuna di queste COSE ci debba salvare la vita.
Ora, a meno che non vendiate defibrillatori da mettere nelle scuole, possiamo abbassare un po’ le aspettative?
Non ha senso esaltare i prodotti per le loro qualità immaginarie. Ha molto più senso parlarne in modo realistico e puntuale. Quali sono i veri benefici? Perché amate quel prodotto a tal punto da consigliarlo al posto di quello del vostro competitor?
Un esempio per tutti: Cristina Fogazzi, aka Estetista Cinica. Che produce cosmetici che funzionano davvero, e sapete perché funzionano? Perché oltre ad essere fatti davvero bene, ne racconta i benefici reali. Cristina non dirà mai: con questa crema vi tolgo la cellulite. Cristina dice: la cellulite ve la tenete, perché non si toglie, ma se usate questo prodotto ottenete questo risultato ben preciso. E infatti.
Io dico sempre: se fai pasta, non stai salvando il mondo. Stai semplicemente producendo pasta.
Non me la menare con i massimi sistemi: dimmi perché è buona, dimmi come tiene la cottura, dammi idee per cucinarla in modo veloce, o sano, oppure originale. Dammi, insomma, quello che mi serve: informazioni tecniche e contenuti utili.
La scienza è importante
Ma soprattutto: smettiamola di produrre contenuti anti-scientifici! Adesso abbiamo la fortuna di avere una nutrita community di divulgatori scientifici su Instagram, davvero notevoli: usiamoli!
Fossi io il Brand, pagherei profumatamente gente come Beatrice Mautino e Dario Bressanini (non li cito tutti, non vogliatemene) per fare il fact checking di ogni brief e scheda prodotto, soprattutto quando si parla di salute, alimentazione e cosmesi!
Insomma, ho visto cose…
Ho visto consigliare omogeneizzati come unico cibo sano da dare ai figli, perché tutti gli altri cibi sono contaminati.
Ho visto le tisane detox, i chewingum che prevengono la carie e anche le caramelle alla frutta che sostituiscono… la frutta vera. Eddai.
L’esclusiva si paga, ma la coerenza è gratis
Un Brand non può pretendere fedeltà eterna, se non retribuisce le persone a dovere. Per questo noi insistiamo così tanto sulle relazioni lunghe e durature: invece che usare il vostro budget per una campagna mordi e fuggi che si consuma in una settimana (e che annoia gli utenti, che vedono lo stesso identico contenuto su ogni canale), perché non diluire quella campagna nell’arco di sei mesi o un anno?
Ci sono numerosi vantaggi:
- aumenta la brand awareness, o notorietà del marchio: il Brand continua a esistere sui blog in modo continuativo, con contenuti sempre freschi e interessanti;
- aumenta il posizionamento: contenuti freschi e interessanti = avanzamento nelle SERP, con studio accurato delle keyword;
- aumenta la brand protection, se vogliamo: se siete voi ad occupare il cuore e i contenuti dell’Influencer che vi piace, nel frattempo il vostro concorrente non potrà usufruire dello stesso canale di comunicazione, quindi insinuarsi nella stessa nicchia.
È un po’ come i concessionari di auto, che si mettono sempre tutti vicini gli uni agli altri: il cliente prima o poi compra l’auto, indifferentemente da uno o dall’altro concessionario. Oggi a me, domani a te.
Voi volete questo?
Al momento quello che succede, di norma, è: campagna molto breve e molto sponsorizzata su aspirapolvere / piastra per capelli / beauty routine. La settimana successiva arriva una campagna del tutto simile, sia per affinità di prodotto, che di contenuti, e si mette in scia. E noi lo sappiamo che chi si mette in scia, va sempre un po’ più veloce di quello che gli sta un passo avanti, perché elimina l’attrito.
Se dunque scegliete un Ambassador e lo portate con voi per un anno o anche di più, non solo non avete nessuno in scia, ma non avete nemmeno competitor su quei canali: a voi ne viene in tasca un’esclusiva vera e propria, al Blogger la coerenza della sua comunicazione (altrimenti – di nuovo – tutti gli aspirapolvere sono sempre WOW).
Il vostro Ambassador vi porta nuovi follower?
I Brand devono decisamente imparare a misurare il ROI, ovvero il ritorno sul proprio investimento. Noi capiamo benissimo le logiche pubblicitarie e gli accordi tra aziende e concessionarie: la casa madre (questo fa molto Morte Nera) ti dà un budget, tu lo devi spendere tutto altrimenti l’anno prossimo te lo riduce, e allora lo butti un po’ via.
Qui stiamo ancora cercando di rispondere alla vera domanda: la pubblicità online funziona?
Perché noi sappiamo per certo che la pubblicità in TV funziona eccome, ma quella online?
Secondo me sì, ma la pubblicità online per funzionare non deve essere pensata come uno spot pubblicitario da passare in TV, ma come un CONTENUTO RILEVANTE.
Allora sì, che la pubblicità online converte.
E posso aggiungere una mia idea personale? Non tutti i Brand sono IKEA. Là fuori ci sono milioni di piccole aziende familiari che possono spendere piccoli budget in nicchie molto mirate, e ottenere quel giusto riconoscimento che gli occorre, senza per forza dover ingaggiare i top Influencer.
Professione Blogger non a caso ha scelto come definizione quella di MicroRete Agile.
Fate scelte etiche
Puntate alla sostenibilità, alla vera inclusione, a messaggi che non contengono discriminazioni o stereotipi di genere.
I Millennial e la Generazione Z, ovvero i nuovi consumatori, stanno per possedere una carta di credito e voi potete intercettarli in modo autentico: sapete cosa cercano?
Non affidate il vostro Brand a chi compra i follower o le visite.
Gli strumenti per identificare queste pratiche ci sono, come Ninjalitics. Oppure fate un banale controllo manuale per verificare che il numero dei follower sia reale.
Non associate il vostro nome a pratiche pubblicitarie scorrette: i clienti non perdonano.
Ad ogni Blogger il suo lavoro, con un tipo di comunicazione diversa
C’è infine un’altra mia fissazione: non tutti siamo Influencer, né aspiriamo ad esserlo.
Io, ad esempio, non sono Influencer: non ci sono portata per niente! Oltre al fatto che uso poco Instagram e non lo considero il mio mezzo di comunicazione preferito. Per me quindi una campagna puramente social non sarebbe indicata e sono certa che non otterrei i risultati giusti per valorizzare un Brand che mi piace.
Io mi occupo di posizionamento SEO, native advertising e brand awareness: sono brava in questo, mi ci sono specializzata negli anni ed è la cosa che mi piace fare! Quando scrivo un post su Mammafelice o su un altro portale, cerco di farlo con cura: studio, cerco le fonti, approfondisco e mi diverto a creare infografiche, freebies, citazioni autorevoli, ecc… Questo è il lavoro in cui funziono, ovvero quello in cui converto!
Sapete come potrebbe funzionare bene una campagna, secondo me?
Mettendo insieme più specializzazioni: una persona che come me si occupa del posizionamento SEO dei contenuti, una persona che usa YouTube, una persona che ha una bella fanbase e un bell’engagement su Instagram, un’altra che ha un bel gruppo FB reattivo e una che ha una newsletter corposa.
Creare dunque un team di Blogger, Vlogger, Content Creator o Influencer… e magari coinvolgerli anche in un podcast?
Ciascuno dei membri del team potrebbe collaborare alla stesura di un piano editoriale armonico, che rispecchi i singoli tone of voice; potrebbe condividere gli altri contenuti, utilizzare un hashtag in comune, e così via.
Ecco, noi di Professione Blogger il futuro del Blogging professionale lo vediamo così: svilupparsi in progetti editoriali che si avvolgono intorno a MicroReti Agili, creando collaborazioni tra differenti creatori di contenuti digitali.
costanza - contentisqueen dice
‘Se fai pasta, non stai salvando il mondo.’ partirei da questo concetto, e poi ragionerei su tutto il resto.
E che l’advertising interruttivo abbia stufato lo abbiamo capito tutti, fuorché gli inserzionisti o chi investe per loro, soprattutto sui quotidiani online, che oltre a farti pagare l’abbonamento ti rifilano ad ogni pagina il pop up di un brand che alla fine della lettura del quotidiano tu odi profondamente e appena lo vedi lo associ consciamente o inconsciamente al fastidio che hai provato la mattina con la tazza di caffè fumante in mano, intenta a leggere le notizie, e ti è apparso lui, il brand che adesso odi con tutta te stessa.
Giustissimo secondo me mettere insieme specializzazioni diverse, non si può credere che un influencer sia incisivo su youtube su instagram sui blog e chissà dove anche, la specializzazione va assolutamente capita a valorizzata.
Barbara Damiano dice
Ci sono davvero tanti cambiamenti da fare. Adesso bisogna capire se le aziende sono disposte a farli, oppure se preferiscono mantenere tutto l’apparato. Perché prima di una pubblicità, ci sono decine di intermediari che prendono una fetta di quel budget.