Questo titolo, ve lo dico, non mi piace: ma ha un valore SEO e quindi lo uso cinicamente per portarvi a leggere quello che ho scritto qui sotto.
Infatti, in fondo all’articolo troverete il suo vero titolo: quello che mette in pratica ciò che predica.
“Cosa non ti piace?”, chiederete voi.
Prima di tutto la parola “inclusivo”, perché implica uno scenario in cui qualcuno decide di accogliere qualcun altro, come se avesse dei diritti speciali: una sorta di San Pietro che dirige il traffico, e anche se lo manda tutto nella stessa bellissima piazza dell’inclusione, lo fa perché ha una bolla papale in tasca – e gli altri no.
Inclusivo dice che ci sono un dentro e un fuori, e che il dentro è più forte del fuori.
“Ma le cose stanno effettivamente così”, direte voi. “Anche se non ti piace”.
Lo so, storicamente è andata così. Ma le parole cambiano il corso della storia, dirigono il traffico in modo più efficiente di San Pietro e quindi… cominciamo a scegliere le parole in modo da rispecchiare l’eterogeneità del mondo in cui viviamo.
Esempio pratico: alternative inclusive alla parola “lettori”
Se abbiamo un blog, abbiamo dei lettori. Giusto?
Allora cominciamo da “i lettori”. Potremmo usare la definizione “il lettorato”: un ecumenico concetto astratto che non indica semplicemente tanti omini e zero donnine.
O potremmo chiamarlo pubblico.
O anche utenti, che al plurale è uguale per tutti, soprattutto se si riesce ad evitare l’articolo; gli utenti tornano ad essere delle persone in carne e ossa: omini + donnine + persone dall’identità non-binaria.
Ma la verità è che nessuno ha solo lettori o solo lettrici o solo persone dall’identità non-binaria.
Allora si può cercare di usare delle perifrasi come:
- chi ci legge
- chi mi legge
- chi legge questo blog
Proviamo?
“Se sei un lettore abituale di questo blog saprai…”
>> “Se leggi abitualmente questo blog saprai…”
E crepi l’avarizia, scomodiamo anche Manzoni:
“Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull’animo del poveretto, quello che s’è raccontato”
>> “Pensino ora le 25 persone che mi leggono che impressione dovesse fare sull’animo del poveretto, quello che s’è raccontato”
Altri esempi di aggiramento del genere definito
Nel mio lavoro di copywriter è essenziale fornire una user experience piacevole, con testi più chiari possibile, senza incappare nel classico, patetico: “Ciao Luisa, grazie di esserti iscritto!”.
Perché come scrive Luisa Carrada in “Ma io sono una signora!”, sentirsi interpellare con un genere nel quale non ci si riconosce è fastidioso:
“Il fastidio non è sempre lo stesso. È massimo in:
- testi brevi e in evidenza, che saltano subito all’occhio, quali titoli e sottotitoli
- testi che si rivolgono a te in modo diretto, dandoti del tu, quali newsletter, call to action, chatbot
- tutti i microcopy, che altro non sono che microconversazioni chiarificatrici e persuasive a tu per tu
- testi di aziende che vorrebbero coccolarti e fidelizzarti come cliente, che ti dicono che “il servizio è pensato per te”, che tu sei “al centro” e poi ti scrivono “Ciao Luisa, cosa ti sei perso nel 2019?”, come fa il mio gestore di telefonia.”
Non si tratta solo di call to action, saluti, istruzioni, sondaggi che troviamo nelle interfacce della Pubblica Amministrazione, e-commerce, newsletter etc.
Come blogger e social media manager dei nostri stessi canali ci rivolgiamo ogni giorno direttamente a chi ci legge e ci segue (nb – non ho scritto “ai nostri lettori e ai nostri follower”), e con un po’ di allenamento possiamo creare testi che coprono tutte le basi (nb – non ho scritto “inclusivi”).
Vediamo qualche esempio pratico:
Grazie di esserti iscritto
>> Grazie per l’iscrizione
Benvenuto a bordo!
>> Siamo felici di averti a bordo! / Ti diamo il benvenuto!
Benarrivata sul mio blog!
>> Che bello vederti qui!
Se sei soddisfatta della ricetta, lascia un commento!
>> La ricetta ti soddisfa? Lascia un commento!
Se a fine giornata come me ti senti sempre stanca…
>> Se a fine giornata come me senti una grande stanchezza…
Sei sicuro di voler procedere?
>> Hai la certezza di voler procedere? / Vuoi procedere? / Andiamo avanti?
Il mio profilo Instagram ha moltissimi follower
>> Il mio profilo Instagram è seguito da moltissime persone
Tagga un amico a cui può piacere questo post
>> Tagga una persona a cui può piacere questo post
I dottori e le infermiere
>> L’équipe medica e il personale infermieristico
E per citare ancora Luisa Carrada:
Se sei arrivato a leggere fin qui sarai curioso di sapere se…
>> A questo punto, avrai la curiosità di sapere se…
Le professioni si declinano o no?
Se sindaca, architetta, deputata, avvocata vi suonano cacofoniche, provate a ricordarvi che le parole sono segni arbitrari: creati dal nulla per comunicare, variano non solo di nazione in nazione, ma anche di regione in regione, da gruppo a gruppo, da lessico famigliare a lessico famigliare. Nascono, cambiano, si spengono. E si evolvono.
Lo diceva anche Giulietta, sul suo balcone:
“Che cosa c’è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.”
Sindaca, architetta, deputata, avvocata sono termini grammaticalmente e socialmente corretti e consigliati. Usateli: perché usare “la signora presidente” invece di “la presidentessa” è solo un’abitudine da cambiare in meglio. Applicando la filosofia di vita “abbiamo sempre fatto così” oggi daremmo ancora del “loro” al nonno e del “voi” alla mamma.
I retaggi patriarcali verranno superati del tutto usando proprio le parole: perché sono le parole che definendo le azioni le modificano dandogli un senso diverso. Così come ferisce di più la penna della spada, così guarisce di più la penna del cerotto.
Ed è proprio l’insistenza, la continua esposizione di un concetto espresso con determinate parole che fa assorbire quel concetto nell’immaginario collettivo, fino a farlo diventare la prassi e la normalità.
Nel 2010 ho scritto un articolo per Il Sole 24 Ore su quanto abbia pesato il graduale sdoganamento dei personaggi LGBTQ+ in televisione sull’accettazione delle persone LGBTQ+ nella vita reale. Dire “accettazione” mi fa venire l’orticaria, ma è un dato di fatto che c’è una parte di società che si ritiene in diritto di decidere quando, come e chi includere nella sua cerchia dell’accettabile. Il solito San Pietro che dirige il traffico.
Il punto è che la visibilità e la rappresentazione sono essenziali per allargare la piazza dell’inclusione.
(L’articolo si chiama Happy Gays e, se posso dirmelo da sola, è abbastanza interessante; sappiate solo che per qualche incommensurabile motivo l’archivio del Sole è lentissimo: lasciate una finestra aperta sul browser, andate a fare una passeggiata o il pane con il lievito madre e quando tornate potete leggerlo).
Infine, attenzione alle etichette all-inclusive
Nel rivedere la comunicazione di un mio cliente, ho trovato molte istanze in cui figuravano “gli ospiti disabili” o peggio ancora “i disabili” tout-court. Ho fatto un bel “trova nel documento e sostituisci tutto” e li ho cambiati immediatamente in “le persone con mobilità ridotta”.
Che differenza c’è?
I disabili sono maschi che non possono fare niente da soli. Sono totalmente definiti dal fatto che sono dis-abili, e diventa invisibile ogni altro aspetto della loro vita e della loro personalità: giovani o genitori, l’essere femmine o gender fluid, orafi, avvocate, avere la passione per il tango o la filatelia. L’unica cosa che importa è che non possono: e chissà cosa! Dal respirare e deglutire senza un tubo in gola, a fare le scale in autonomia, in “disabili” c’è dentro di tutto.
Le persone con mobilità ridotta sono invece di ogni genere identitario, hanno 1 e 99 anni, studiano con profitto, vengono bocciate a settembre, lavorano, sono in pensione, la sera a volte bevono troppo con gli amici e di conseguenza mandano messaggi indiscreti, hanno una collezione di francobolli che potresti salire a guardare anche se sono le 2 di notte, e sul groppone 15 anni di mutuo da estinguere. Ah, e in questo momento non possono fare le scale in autonomia. Perché magari hanno un anno e giustamente vengono portate in giro con il passeggino, oppure si sono fatte il menisco nuovo giocando a calcetto, o hanno la sclerosi multipla, o hanno 99 anni e sai che c’è, si meritano un ascensore.
Un’altra categoria bistrattata è quella “dei gay”: un calderone in cui finiscono tutte le persone LGBTQ+, o forse ancora peggio non ci finiscono perché con “i gay” si prendono in considerazione solo i maschi omosessuali con il boa di struzzo o le bretelle di vinile nero… mentre il senso era “persone omosessuali” (e/o bisessuali, transessuali, transgender, dal genere liquido).
Va da sé che l’orientamento sessuale va specificato solo quando è rilevante all’argomento. Cathy La Torre è un’avvocata e attivista lesbica impegnata nei diritti civili. Ferzan Ozpetek è regista, sceneggiatore e scrittore turco naturalizzato italiano.
Quindi, qual è il vero titolo di questo articolo?
Provate a fare una piccola esercitazione per rivolgervi in modo rispettoso alla vostra audience eterogenea: al posto di “Come rivolgersi ai propri lettori in modo inclusivo” cosa scrivereste?
Io questo: “Come rivolgersi a un lettorato eterogeneo”.
Risorse utili per scrivere in modo inclusivo (daje)
Linguaggio inclusivo in italiano: guida pratica per chi scrive per lavoro (e non)
Linguaggio inclusivo: perché usarlo sul lavoro e nella vita di tutti i giorni
Valentina Lorenzato dice
Molto utile, grazie