Prima di essere blogger, siamo utenti? Come ci comportiamo di fronte a quei siti pieni di pubblicità invasiva, che invadono il campo dei contenuti? Questa pubblicità è efficace, o ci dà sensazioni negative?
Sono tante domande, ma per quanto mi riguarda tutte importanti. Perché da una parte ci sono i soldi, ovvero i ricavi che arrivano dalla pubblicità invasiva, i cosiddetti rich media; dall’altra parte c’è la cura che ho per Mammafelice e il desiderio di renderlo un sito dove il contenuto è principale, non secondario. Content is the King!
Davanti ai rich media, infatti, io ho detto no. Ho scelto ormai diversi anni fa di rinunciare a tutti i formati invasivi di banner sul mio sito, con conseguente perdita di denaro.
Da una parte questo è un grave atto di masochismo, dall’altra parte era per me l’unico modo per dedicarmi a ciò che più mi piace: il native advertising, il content marketing e l’influencer marketing.
Content marketing per i Blogger: cos’è e come si fa
Il content marketing è il mio modo preferito di veicolare la scrittura promozionale, perché risponde moltissimo alla mia idea di blog: contenuto che informa, che crea emozione, che diventa utile.
Il content marketing è una tipologia di marketing che prevede la creazione e condivisione di media e contenuti editoriali al fine di acquisire clienti e monetizzare un sito web. Queste informazioni possono essere esposte in una varietà di tipologie, tra cui news, video, e-books, infografiche, guide, articoli, foto ecc.
Il content marketing crea interesse per un determinato prodotto o servizio e intrattiene il pubblico, per attirare l’attenzione dell’utente finale. Considerato l’evoluzione dell’inbound marketing, il content marketing ha lo scopo di attrarre utenti tramite la creazione e diffusione di contenuti pertinenti. Tali contenuti non devono per forza avere carattere pubblicitario, ma solo informativo e/o illustrativo. La battaglia dell’attenzione si vince con i contenuti, attraverso i quali raggiungere e stimolare l’interesse di potenziali clienti.
Con l’obiettivo di accrescere la web reputation di un’azienda, si tende ad utilizzare il content marketing come vettore di trasmissione della conoscenza alla base delle competenze distintive aziendali. Attraverso la condivisione gratuita di contenuti di qualità e relativi alla propria attività aziendale, l’impresa può aumentare la considerazione che l’utente ha delle capacità di quell’azienda di fornire il prodotto o servizio. Una parte integrante dell’attività di content marketing è l’attività di “content strategy”.
Definizione di Wikipedia
Il ruolo centrale attiene quindi al contenuto, anche quando si tratta di un contenuto pubblicitario.
Vantaggi del content marketing per gli utenti
Per l’utente è una relazione, perché è scritto nel linguaggio naturale del Blogger che scrive; è utile, perché fornisce informazioni dettagliate oppure guide o altri freebies; è in qualche modo ‘native’, perché viene fruito nella stessa forma di tutti gli altri contenuti.
Vantaggi del content marketing per i Blogger
Per il Blogger ha il vantaggio di non risultare disruptive rispetto ai contenuti classici del blog, e quindi di stonare, ma soprattutto di non contraddire i valori del blog e il suo tono di voce. Chiaro che questo può avvenire solo se la scelta dello sponsor è attinente alla filosofia del blog (ne parleremo diffusamente su professioneblogger).
Io faccio sempre l’esempio di una campagna che ho rifiutato qualche anno fa, per un noto marchio di fast food: ho rifiutato quello sponsor non certo perché io non vada a mangiare gli hamburger, ma perché sono obesa. E i lettori – giustamente – avrebbero potuto colpevolizzare il cliente per la mia obesità, quando non è certo il fast food che mi ha resa tale!
Inoltre, su Mammafelice ho sempre parlato dei miei disturbi alimentari e della mia malattia all’ipofisi, tanto da parlare sempre di ricette sane, porzioni, calorie, grammature… dallo svezzamento all’età adulta.
Accettare di parlare del fast food (nonostante io ne sia cliente con moderazione), sarebbe andato contro i valori che ho sempre cercato di trasmettere, ovvero contro il mio ardente desiderio di risparmiare agli altri – sopratutto ai bambini – di diventare obesi. E, ripeto, non certo perché un hamburger ogni tanto favorisca l’obesità, ma perché non ha semplicemente le caratteristiche per essere definito healthy food.
Vantaggi del content marketing per gli sponsor
Per lo sponsor ha un triplo vantaggio, che è quello che cerco sempre di spiegare quando mando le mie offerte:
- accresce la sua brand awareness, ovvero la notorietà del marchio: tutti i lettori del blog possono conoscere quel brand o quel prodotto, essere informati dei vantaggi che porta, essere riconoscibili sugli scaffali;
- accresce la brand reputation, ovvero la sua reputazione, in termini di valori condivisi con il blogger;
- accresce il posizionamento SEO, se il Blogger è specializzato (nel mio caso) in questa attività.
Il redazionale o publiredazionale non è del tutto assimilabile all’attività di content marketing, perché ha una funzione più commerciale.
Tuttavia, io sono una grande fan delle recensioni online fatte bene, accurate ed esaustive, e ritengo che anche un redazionale scritto bene, possa essere un’attività utile per alcuni prodotti o servizi (a tal proposito, uscirà un mio grosso progetto nel 2020, e nei prossimi mesi ne parleremo).
Chiaro è – e questo deve esserlo soprattutto per gli sponsor! -, che un redazionale non può essere ‘emozionale’. Altrimenti il contenuto diventa di nuovo disturbante. Vi sarà capitato tante volte: il Blogger parla di qualcosa di emozionante, commovente o divertente, che crea empatia… e ZAC! Ad un certo punto entra il prodotto a gamba tesa nel post, messo lì come fosse la réclame della televisione.
E ci restiamo male: ci sentiamo presi in giro e anche stupidi, per esserci commossi per una pubblicità.
Native advertising: cos’è?
In questo caso parliamo di pubblicità che assume l’aspetto del contenuto. I due esempi che possiamo fare, i più conosciuti, sono lo stream di Facebook e la pubblicità Adsense.
Il Native advertising (o pubblicità nativa) è una forma di pubblicità sul world wide web che, per generare interesse negli utenti, assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata. L’obiettivo è riprodurre l’esperienza-utente del contesto in cui è posizionata sia nell’aspetto che nel contenuto. Al contrario della pubblicità tradizionale, che distrae il lettore dal contenuto per comunicare un messaggio, il native advertising cala completamente la pubblicità all’interno di un contesto senza interrompere l’attività dell’utente, poiché assume le medesime sembianze del contenuto, diventandone parte, amplificandone il significato e catturando l’attenzione del potenziale consumatore.
Nello specifico, il Native Advertising è un metodo pubblicitario contestuale che ibrida contenuti e annunci pubblicitari all’interno del contesto editoriale dove essi vengono posizionati (sia dal punto di vista grafico sia dal punto di vista della linea editoriale), indicando chiaramente chi è l’inserzionista che ‘sponsorizza’ tale contenuto. È distante dal Pubbliredazionale, che invece cerca di mascherare contenuti pubblicitari come articoli editoriali su prodotti o servizi.
L’approccio del Native Advertising ricorda in parte il Content marketing, anche se per quest’ultimo il fine è informativo piuttosto che promozionale. Lo sviluppo di internet e in particolare dei social media, ha modificato profondamente il rapporto tra consumatori e brand, per i quali la tradizionale strategia di marketing, denominata “interruption marketing”, non è più efficace.
Definizione di Wikipedia
Gli Adsense sono annunci banner o testuali, che negli anni si sono evoluti a tal punto da essere pienamente personalizzabili nello stile e nel colore, nei font e nelle dimensioni, al feed del blog.
La pubblicità nativa si presenta come una naturale continuazione dei contenuti editoriali, anziché come una rottura, sia da un punto di vista visivo che tematico. Gli utenti prestano così la propria attenzione online in modo più spontaneo.
Intercetta il tuo pubblico in modo naturale
Tecnicamente, sono classificati come “nativi” gli annunci basati su componenti definiti dal publisher, e non dall’inserzionista come accade di norma. Dunque, quando si parla di native advertising, ci si riferisce ad annunci pubblicitari che, come camaleonti, assumono la forma e le modalità del contenitore che li ospita. Risultano così più ingaggianti rispetto a quelli tradizionali, pertinenti ed efficaci in ogni situazione e su ogni dispositivo. Il loro aspetto è più simile a un contenuto che a un’inserzione e il valore dell’esperienza dell’utente è messo in primo piano.
Fonte: Think with Google.
Nel 2015 avevo pensato a un nuovo layout per Mammafelice, che avevo proposto alla concessionaria di allora, ma senza successo (lo implementerò io!): un’idea per creare una pubblicità di tipo native sui blog, sia desktop che mobile, che ci permettesse di eliminare per sempre le pubblicità invasive del tipo expandable e overlay, prima di tutti gli altri.
La mia idea era di copiare ciò che faceva già allora Facebook: mettere i banner (espandibili, video o animazioni) nello stream dei post, ogni 5-6 post, già espansi. Non sopra i contenuti, ma nello scroll: nella home tra i post, negli archivi, sia da desktop, che da mobile.
Con il vantaggio che avremmo potuto inserire inequivocabilmente la dicitura ‘post sponsorizzato’ e anche taggare il cliente, quindi garantire massima trasparenza pubblicitaria e non ingenerare confusione negli utenti.
Lo scopo era soprattutto quello di dare rilevanza ai contenuti, quindi riportare la pubblicità online a ruolo di content marketing, e non di slalom tra banner.
Io sono ancora convinta di quella idea!
Secondo me sarà sempre più necessario sostituire le pubblicità invasive, oggi come allora, per vari motivi:
- perché sono brutte, spesso odiose: ricordo in particolare un paio di pubblicità con una musica così odiosa, che io stessa non ho mai più comprato quel prodotto!;
- perché non sono user friendly: gli utenti devono fare lo slalom tra i banner, per poter leggere i contenuti, e con il ‘pericolo’ di cliccare per sbaglio sui banner (= l’inserzionista paga un click non intenzionale);
- perché rallentano il sito: vengono lanciate da script su server esterni;
- perché possono essere bloccate con adblock, e ricordiamoci che ormai la percentuale di utenti che installa è elevatissima (nel 2018 si parlava di 1 utente su 3 in Italia);
- perché non sono native e la gente le chiude senza guardarle, creando il cosiddetto fenomeno di banner blindness, ovvero cecità verso i banner pubblicitari (non li vedono nemmeno più, non ci fanno più caso e li ignorano).
La pubblicità invasiva non è il futuro dei content creator
La settimana scorsa sono andata all’ecommerce day e un intervento in particolare mi ha colpito: quello di Francesca de Pascale, Brand Communication & Social Media Manager l’Oréal.
Francesca parlava di brand ‘gentili’. Brand che devono imparare ad essere dei brand socievoli, prima che social. Con il termine ‘gentilezza’, intendeva il rispetto delle scelte degli utenti:
i brand possono iniziare a offrire una storia diversa agli utenti online, che non necessariamente implichi da parte delle persone un acquisto
Francesca ha spiegato benissimo la percezione che hanno al momento gli utenti, rispetto alla pubblicità: se la pubblicità online è invasiva, interrompe il flusso dei contenuti e le persone ne sono infastidite. Svolge infatti una funzione interruttiva, generando un senso di intrusione in un equilibrio di contenuti.
Bisogna trovare una storia interessante e rilevante per le persone, e utile.
Empatia, socievolezza e credibilità sono le parole chiave.
Per regalare agli utenti una storia di cambiamento.
Io questo l’ho trovato rivoluzionario, proprio perché raccontato da un brand.
Influencer Marketing: cos’è?
Lo vediamo moltissimo con instagram: gli influencer sono diventati più di ambassador di prodotto (cosa che per esempio può accadere nel content marketing), ma agiscono come leva.
Sempre nella descrizione di Wikipedia:
È una forma di marketing basata su persone con influenza sui potenziali clienti. I contenuti degli influenzatori possono essere ricompresi nella pubblicità con testimonial dove gli influenzatori giocano il ruolo di potenziali consumatori oppure agiscono come fossero soggetti terzi rispetto agli altri soggetti in campo, ossia consumatori e produttori.
Per influenza si intende non tanto la forzatura ad adottare un certo comportamento di consumo, ma il termine vuole cogliere le libere interazioni tra diverse parti di una comunità.
Noi tre, su Professione Blogger, siamo un po’ allergiche al nome influencer, perché non ci piace che possa assumere davvero l’accezione negativa di persona che vuole influenzare le persone: noi crediamo che il nostro ruolo sia più quello di informare sul prodotto, che indurre ad acquistarlo. Ma nel suo significato originale non ha certo un significato negativo.
Tuttavia, nasconde delle criticità (come tutto, del resto), che secondo me sono importanti da tenere a mente e che ha raccontato molto bene Chiara Formenti di Otto Collective, nelle sue storie di Instagram (circoletto Markoledì, Mercoledì del Marketing):
L’influmarketing è scegliere un media differente da quello tradizionale (radio, TV, giornale). È un tipo di investimento che può funzionare, ma ha due problemi: il fattore umano e l’algoritmo.
Con l’influencer marketing le aziende perdono il controllo della piattaforma, dell’esecuzione e della valutazione del contenuto. Questo accade sopratutto quando l’azienda cede il potere del proprio valore all’influencer.
Gli influencer infatti sono disintermediati, ma un’azienda no.
La soluzione è la co-creazione strategica del contenuto.
Oggi vi ho dunque fatto una banale carrellata delle potenzialità del content marketing, native advertising e influencer marketing, rispetto alla pubblicità invasiva. Non ho minimamente spiegato cosa intendo per content marketing, e quindi come io penso si debba scrivere un post sponsorizzato e come si possa vendere una campagna a uno sponsor.
Insomma: c’è tantissimo da dire e lo diremo, ma puntata per puntata.
Per oggi ci siamo dati delle definizioni, ma soprattutto ci siamo posti delle domande, a cui adesso ognuno può rispondere:
- Prima di essere blogger, siamo utenti?
- Come ci comportiamo di fronte a quei siti pieni di pubblicità invasiva, che invadono il campo dei contenuti?
- Questa pubblicità è efficace, o ci dà sensazioni negative?
Io non darò le risposte, perché le ho già fornite qua e là nel testo, con le mie opinioni, ma voglio fare un’ultima considerazione che secondo me è davvero fondamentale, per chi vuole essere blogger di professione: prima di diventare creatori di contenuti, bisogna essere fruitori di contenuti.
Troppo spesso i colleghi mi confessano di non avere tempo per leggere gli altri blog, né per tenere d’occhio i propri competitor sui propri canali social.
Io credo che sia indispensabile leggere i blog del proprio settore di riferimento, soprattutto quando si parla di campagne di advertising online: come possiamo monetizzare il nostro blog, se non sappiamo come si muovono le aziende sul web? Come possiamo progettare campagne innovative o anche minimamente originali, se non seguiamo le campagne precedenti, individuando criticità e punti di forza?
Ma, tanto per ricollegarci anche al precedente post, su come redigere un piano editoriale SEO: come facciamo a scrivere, se non sappiamo cosa cercheremmo noi, su quel topic, come semplici utenti?
Come sempre: questo post non è un invito a fare come me, ma solo a prendere in considerazione un diverso punto di vista. Cosa ne pensate di questo argomento, sia come lettori, che come blogger?
Grazia Cacciola - erbaviola dice
Tre cose:
1) l’articolo è super, così denso che spero ne originerà almeno altri 3-4 di approfondimento!
2) il nuovo metodo di pubblicità trasparente che proponi mi interessa moltissimo ma non mi è chiaro se vuoi realizzarlo come tuo network pubblicitario (auspico!) oppure come plugin di visualizzazione sponsor (mmmh potrei valutarlo ma tendo al minimal plugin per questioni di velocità e quelli pubblicitari sono spesso i più pesanti e conflittuali con altri)
3) Concordo con la tua scelta fast-food ed è lo stesso metodo che ho applicato anche io. Tempo fa mi aveva chiesto una collaborazione una nota marca di caffé ma non era da commercio equo. Io il caffé lo bevo ma il meno possibile, quando lo bevo fuori casa non posso chiedere che sia da commercio equo, ma promuoverlo esporrebbe me a una valanga di giuste critiche e lo sponsor all’esatto contrario del risultato che voleva ottenere. Un ROI a rovescio insomma 🙂
Barbara dice
Come ti dicevo nel gruppo, per ora creerò un nuovo template adattato per Adsense (quindi native adv). Il prossimo obiettivo sarà creare un circuito pubblicitario tutto nostro, basato su sponsor selezionati a priori in base a caratteristiche come valori in comune, etica, ecc..