Kid Danger: Io dico che i pantaloni di pelo sono fichi.
Charlotte: Kid Danger dice che i pantaloni di pelo sono fichi!
Jasper: E Kid Danger è un influencer! Quindi i pantaloni di pelo devono per forza essere fichi!
Piper: Beh, è così che funziona..
Mitch: Forza ragazzi, andiamo a comprarci dei pantaloni di pelo!
(Henry Danger, s. 5, ep. 14 “A cena con Big Foot”, Nickleodeon)*
“Ma un po’ di miniera”: la percezione del mestiere di influencer
A quanto pare, è un fatto di età: tra i Gen X si registra un tasso di sfiducia e aggressività nei confronti degli influencer che tra i millennial e i Gen Z rimane quasi completamente sotto traccia. Anzi.
Per i giovani, l’influencer è un mestiere codificato: permette di fare carriera, di creare posti di lavoro, linee di prodotti, eventi, movimenti sociali.
Lo sprezzo per chi usa i social network come la scatola di sapone su cui issarsi per proclamare la propria opinione appartiene invece ai vecchi di mentalità, a quelli a cui non va mai bene niente. A quelli che “il lavoro è quello che ti fa alzare all’alba e andare a scaricare i pomodori al mercato generale”: lo proclamano tutti giorni dentisti, elettricisti, impiegati della PA… su Facebook, su Instagram, su Twitter; contando i like che il loro commento infiammatorio suscita i loro coetanei.
Quanta ironia non colta.
Ci sono due tipi di influencer
Si potrebbero dividere gli influencer, ovvero le persone che campano della loro presenza on line, in due macro-categorie:
- quelli che sono – l’evoluzione del presenzialista e della it-girl: sono gli influencer famosi perché sono famosi o, per dirla con D’Annunzio, coloro che hanno fatto della propria vita un’opera d’arte – Mariano Di Vaio, Chiara Ferragni e sì, Gabriele D’Annunzio che, per quanto talentuoso, più di ogni altra cosa voleva la celebrità per sé stesso e non come scrittore. La loro fama è dovuta all’appariscenza (che non è l’apparenza), e i prodotti che pubblicizzano e/o vendono sono legati all’apparire. Si descrivono nella loro bio “personaggio pubblico” e influenzano le aspirazioni materiali dei loro follower (dall’orologio all’amante-trofeo).
- quelli che fanno – l’evoluzione dello stimato professionista, dell’opinionista, del trascinatore di folle: sono gli influencer famosi perché divulgano le loro competenze e/o la loro etica senza prepotenza – Clio Makeup, Greta Thunberg – o con prepotenza – Roberto Burioni. La loro fama è dovuta a un saper fare o a uno stile di vita che ha regole autoimposte che vengono proposte come modello, e i prodotti che pubblicizzano e/o vendono sono legati al sentirsi nel giusto. Si descrivono nella loro bio con una categoria professionale e influenzano le aspirazioni immateriali dei loro follower (essere in ordine, eco-logici, razionali).
#vorreimanonposso, #vorreimanonposto: chi sono gli hater degli influencer?
“E io faccio l’impiegato” viene risposto a chi posta selfie in bermuda e occhiali da sole sulla pista dell’aeroporto di martedì mattina.
Reazioni che non esisterebbero se quell’impiegato non stesse scorrendo il profilo Instagram dell’influencer in bermuda, nel suo ufficio senza finestre, di martedì mattina.
In poche parole, chi denigra gli influencer lo fa:
- usando i social, seguendoli e invidiandoli
- non usando del tutto i social, non seguendoli e non conoscendo cosa fanno
#staisereno: qual è il pubblico degli influencer?
Chi invece usa i social serenamente, per divertirsi, imparare e conoscere persone affini, sa fare una cosa molto semplice: scegliere gli influencer da seguire e ignorare quelli che non sono rilevanti per i propri interessi.
Senza sminuire o insultare la categoria generale degli influencer come se questa “superbia” fosse la condizione necessaria e sufficiente per dirsi persone di mondo, persone che sanno stare sul web e che soprattutto sanno decifrarlo.
Va bene ma… a cosa servono gli influencer?
Gli influencer sono intrattenitori e divulgatori, ed esistono dalla notte dei tempi: sono quelli che nella caverna raccontavano alla loro tribù dove avevano trovato le migliori pietre per fare le frecce; quelli che tra le colonne dell’agorà e i ventagli dei salotti roccocò seminavano nozioni e opinioni, lanciando correnti di pensiero; sono le Donne Letizie e gli elzeviristi, le veline e gli Angela père e fils.
Gli influencer sono da sempre quelli che si espongono ad un pubblico per mostrare o dire la loro: attraverso pitture ruprestri, manoscritti miniati, comizi, programmi radiofonici e televisivi, libri, articoli, foto smutandate sui rotocalchi.
Gli influencer servono a tutti perché sono uno svago e una fonte di informazione: semplicemente non c’è niente di strano se, come quelli del passato, quelli del presente vanno scelti e seguiti con cognizione di causa, perché oggi come nel passato, niente è vero solo perché qualcuno lo dichiara tale.
Ad esempio il medico e architetto Louis Savot (1579-1640) nel 1624 scrisse in “L’architecture françoise des bastimens particuliers” che nelle nuove costruzioni i bagni non servono del tutto, perché “l’uso della biancheria ci permette oggi di tenere pulito il nostro corpo più comodamente di quanto potessero fare gli antichi con i bagni”. Savot fu nel suo settore uno dei personaggi più influenti dell’epoca, ma non si può dire che avesse ragione 🙂
La responsabilità sociale degli influencer
Abbiamo tutti diritto alle nostre opinioni, ma non ai nostri fatti.
(Daniel Patrick Moynihan, senatore e ambasciatore statunitense)
Assodato che i social network danno a tutti la possibilità di divulgare se stessi, i propri prodotti e i propri messaggi in totale autonomia e gratis, rimane fondamentale per gli influencer:
- creare contenuti sulla base di dati provenienti da fonti attendibili e di informazioni verificate
- avere la coscienza i propri post verranno letti e presi sul serio
- non rischiare di danneggiare i lettori arrogandosi competenze che non si hanno (ad esempio dando consigli di salute, nutrizionali, fiscali etc)
- pubblicare con trasparenza la pubblicità (per non sentirsi mai dire “questa è una marchetta schifosa”)
- imparare a gestire flame, hater e troll con maturità e autorevolezza (moderando, cancellando ed eventualmente segnalando alle piattaforme social i commenti più offensivi).
E soprattutto, usare bene la propria cassa di risonanza:
- per unire invece di separare
- per educare invece di creare gombloddismi
- per far sentire bene con un sentire positivo e fiducioso invece che far sentire a disagio con un messaggio negativo e paranoico.
Non è solo con i sensazionalismi che si raccoglie seguito: spargere il bello, far stare bene le persone e arricchire le loro esperienze con i propri contenuti è un piacere (o un ego trip) incommensurabile.
Perché da un grande potere derivano grandi responsabilità.
(Ben Parker, zio di Spiderman)
[…] tre, su Professione Blogger, siamo un po’ allergiche al nome influencer, perché non ci piace che possa assumere davvero l’accezione negativa di persona che vuole […]