Chi fa il Blogger di professione, o chi vorrebbe farlo, deve mediare tra budget e risultati: spesso le aziende vogliono pagare poco, ma ottenere risultati eccellenti.
In un’epoca lavorativa in cui i like finti e i bot condizionano i numeri dei report, lavorare eticamente potrebbe ridurre il numero di sponsor che ci considerano appealing? No, la nostra risposta è no, se ve lo state domandando.
Come possiamo invertire questa rotta? Come rendere più efficaci le nostre performance sulle campagne pubblicitarie online?
Cosa rende meno efficace una campagna pubblicitaria online
Vi riporto, senza pretesa di esaustività, alcune riflessioni che mi sono appuntata negli ultimi anni e sono anche state oggetto di scambio con colleghi, aziende o agenzie. Chissà che adesso i tempi siano maturi per pubblicarle.
La sovraesposizione dei banner
Una sovraesposizione di banner e pubblicità, da quello che abbiamo notato negli anni, riduce significativamente il numero di visualizzazioni e di click dei post e dei banner.
Dalle ultime rilevazioni, pare che il 17% degli utenti italiani usi AdBlock, dato che sale al 25% negli USA.
La Coalition for Better Ads, composta da membri illustrissimi, tra cui Facebook e Google, ha dettato degli standard pubblicitari relativi agli ads tollerati dagli utenti, o al contrario ads che impediscono una corretta user experience.
Sostanzialmente, sono tutti i rich media, ovvero quelle pubblicità che invadono i contenuti, o ne impediscono una lettura completa.
Sia con navigazione da desktop, che da mobile.
Troppi post sponsorizzati, a discapito del contenuto principale
In generale, io credo che gli utenti si siano stufati di una eccessiva esposizione degli sponsor.
Anni fa (intorno al 2014), quando ho preso la drastica decisione di allontanarmi da alcune logiche commerciali, in alcuni mesi praticamente ogni mio post era offerto da uno sponsor. Certo: i miei post erano comunque apprezzati, perché cercavo di scrivere contenuti approfonditi e intelligenti, ma comunque non si trattava di articoli ‘organici’, se così li vogliamo definire.
Questo va chiaramente a scapito del piano editoriale, che non è più ragionato né in termini di topic graditi agli utenti, né in termini SEO, ma è un piano editoriale governato soprattutto dal tipo di sponsor che arriva.
Ed è chiaro che anche il contenuto sponsorizzato fa parte del piano editoriale macro, ma è inevitabile che il contenuto, che è sempre king, per carità, ha meno appeal.
Campagne spot
Altra logica che mi sono sentita di abbandonare, causa del punto precedente, era l’enorme turn over degli sponsor: invece di offrire campagne lunghe, in cui il content creator si fa Ambassador del prodotto, mi capitava di avere molte campagne spot, con un articolo e via.
Queste campagne non piacciono a chi le scrive, e alla lunga nemmeno ai clienti, perché non forniscono il tempo per il posizionamento SEO, la brand awareness e tutte le attività di branding che invece oggi sono essenziali.
Overload pubblicitario
Negli ultimi anni si è abusato di campagne tipo meme, ovvero coinvolgimento di tot Blogger nello stesso periodo di tempo, solitamente un periodo estremamente circoscritto.
Magari nella stessa settimana vengono pubblicati 10 o anche 20 contenuti di campagna, su altrettanti blog, creando un overload pubblicitario di quel marchio o hashtag. E siccome il coinvolgimento avviene per settore (se promuovo una crema per il cambio del pannolino, il target sono sempre le mamme di bambini piccoli, non certo chi cerca notizie di makeup o di food), spesso gli utenti sono scocciati dai post sempre uguali, e fatti a catena.
Soprattutto i meme sono troppo ravvicinati: se nell’arco di un mese vengono pubblicati anche 50 contenuti (tra post, storie e foto di Instagram, post FB) che parlano TUTTI dello stesso argomento, hai voglia a declinarli in modo spiritoso, quando comunque il brief è sempre quello.
Una creatività non attraente o un brief sbagliato
Uno dei punti su cui mi sento di insistere, è che non può esistere un brief unico, per coinvolgere 10-20-50 Influencer.
Ad ogni Blogger serve un brief specifico, che tenga conto della sua nicchia, del suo tono di voce. Un brief in cui si condividono i valori del brand e non le frasi da dire assolutamente per presentare il prodotto.
Allo stesso modo, in un mondo ideale, sarebbe bellissimo se ogni content creator potesse dire: questa creatività fa schifo, non è adatta al mio target e non verrà percepita come attraente.
Come possiamo pensare che lo stesso banner, la stessa grafica, la stessa foto e la stessa ambientazione funzionino e convertano su canali diversi tra loro?
Utilizzare i canali social contrariamente al loro scopo
Per un certo periodo sono andate di moda le tweetchat: si decideva un giorno in cui tutte le blogger coinvolte dovevano twittare su un dato prodotto o argomento, veicolando un hashtag di campagna.
Attenzione: non in presenza di un evento, e quindi in un’attività di copertura live social di una giornata, una presentazione o un lancio. Proprio una chat su Twitter.
Esteticamente brutto, ma anche rumoroso, inefficace: twitter non è una chat e se leggo qualsiasi post che dà consigli su come usare male o bene twitter, io penso che abbiamo disatteso tutte le guide e le netiquette. 🙂
Come incrementare l’efficacia delle campagne pubblicitarie online
La mia idea, da allora (e parlo sempre degli anni 2013-2014) è stata quella di imparare a dire di no e lavorare con due parole chiave: PARSIMONIA e COSTANZA.
Ovvero eliminare le tweetchat, l’overload pubblicitario, le campagne con lo stampino… e sostituirle con iniziative condivise poco per volta, ma sul lungo tempo. Con gli anni ho affinato a tal punto questo modello, da riuscire a tenere in piedi collaborazioni anche di 2-3-5 anni con lo stesso brand, con enormi vantaggi per tutti:
- una riduzione dei costi per il brand, che spende una cifra giusta per lavorare con una Ambassador alla volta, invece che con 20 Influencer in un botto;
- un aumento della relazione tra brand e Ambassador, e quindi tra brand e utenti;
- maggiore efficacia delle campagne dal punto di vista del ROI, soprattutto per quanto riguarda posizionamento SEO e brand awareness.
Le idee per incrementare l’efficacia delle campagne, per quanto mi riguarda, quindi, sono chiare. Chiaramente richiedono più sforzo e più professionalità, rispetto a campagne brutte, un tanto al chilo.
Questo però non è un banale giudizio sul lavoro altrui, perché non è questo lo scopo. Non stiamo concorrendo a una gara, voglio che sia chiaro.
Professione Blogger, per quanto mi riguarda, è nato proprio per il mio grande desiderio di cambiamento: cambiare me stessa per prima, ma anche cambiare il mondo in cui lavoro, per innalzare la qualità a tutti i livelli. Che non significa che non ci sia la qualità, ma semplicemente che io, se posso, ne voglio di più – e in modo nuovo.
Creare post che richiedano maggiore interazione (engagement)
I post più commentati (parlo sempre per me), sono quelli in cui ci si condivide davvero. I post in cui si parla delle difficoltà o delle sconfitte come persona, madre, donna o professionista.
Sono spesso articoli di SOSTEGNO, quelli in cui si chiede il parere delle persone perché quell’opinione per noi conta sinceramente.
È un po’, se vogliamo, il contrario di quello che potrei definire un ‘vanity content‘, ovvero un contenuto la cui interazione si limita a una generica ammirazione degli utenti; quel famoso WOW che nasconde almeno due insidie: l’invidia delle persone, o lo scarso interesse.
Se c’è una cosa che ho imparato dalla Rete, è che là fuori c’è un mondo bellissimo. Ci sono gli orrori, i commenti feroci di odio, ci sono i razzismi e gli analfabetismi di ritorno…. ma c’è anche un vastissimo mare di opportunità, di persone incredibilmente intelligenti, di idee straordinarie, di persone gentili e generose, pronte ad offrire il proprio aiuto.
Questi dovrebbero essere i lettori a cui scriviamo i nostri post: quelli che possiamo amare, e che ci amano.
Creare post utili, che forniscono un servizio
I post più indicizzati e più ricercati nelle chiavi di ricerca, sono invece i post di SERVIZIO: Come fare a…, Idee per…, Come organizzare una…
Sono post bellissimi da scrivere, perché qui bisogna mettere in moto tutto il nostro ingegno e sapere. Bisogna studiare, informarsi, cercare le fonti giuste, preparare fotografie e grafiche, elementi interattivi e tabelle. Insomma: creare delle ‘guide’ utili, che possano rispondere alle domande vere delle persone vere.
E io sono fermamente convinta che il 2020 sia l’anno in cui possiamo riabilitare il magico potere dei redazionali fatti bene. Recensioni all’americana: ricordatevi queste parole, perché ve ne parlerò ancora (e perché ci sono progetti in arrivo).
Ideare progetti editoriali di lungo periodo
Quando il lavoro consiste nella cosiddetta brand awareness, o notorietà del marchio, allora quello che ci serve, oltre a campagne ideate bene, con un bel brief e un bel piano editoriale, è il tempo.
Queste campagne si sviluppano meglio sul lungo periodo (sei mesi / un anno / 2+ anni) e, quando si lavora bene, portano non solo un riconoscimento del brand, ma anche un ottimo posizionamento: sono il tipico modo per creare contenuti evergreen.
Se, infatti, con le recensioni ci può essere il pericolo dell’obsolescenza del contenuto (per esempio un nuovo modello di robot da cucina, telefonino o passeggino: cosa che ci dovrebbe spingere a revisionare sempre i contenuti passati per aggiornarli), con le campagne di brand awareness questo non succede, perché seguono l’onda della stagionalità.
Facciamo l’esempio del Cliente X, che commercializza cassette di verdura fresca. Io scrivo per lui una ricetta al mese in cui il prodotto viene presentato con un’attività di native advertising. E mettiamo che io sia particolarmente brava a creare un progetto editoriale e fare indicizzare i post su Google.
Bene: il post di Ottobre su ‘Come cucinare la zucca’ diventerà vecchio a Novembre, quando le visite si concentreranno sul post ‘Come cucinare i porcini’. Ma il prossimo anno, sempre ad Ottobre, il post delle zucche tornerà alla ribalta.
E in mezzo ci sarà sempre il nome del Cliente X, che verrà presentato anche come esempio virtuoso di varietà.
Creare campagne con interazione di più Blogger e Content Creator
Continuo infine a pensare che una campagna di advertising online funzioni tanto più i Blogger coinvolti abbiano un loro tono di voce, un proprio pubblico e un proprio brief. Se noi mettiamo insieme più talenti, ampliamo il raggio della comunicazione di prodotto, ma veicolandolo in modo originale, adattandolo ai diversi stili di comunicazione previsti sui diversi canali.
Lo Youtuber potrà fare una recensione del prodotto, l’Instagrammer potrà creare dei set fotografici, il Blogger potrà scrivere post di posizionamento, e così via. Ognuno può parlare alla sua community e intrecciarsi con gli altri colleghi, per spingersi a vicenda.
Magari facendo un mix tra iniziative che possono essere brevi, ed iniziative che devono durare tanto tempo, per realizzare davvero la promessa ‘content is the king’. E, perché no, tenere anche conto che ad oggi, l’esperienza non si fa più solo online, ma anche offline. Per esempio coinvolgendo anche un Influencer che incontri i suoi follower, o li inviti ad esperienze esclusive.
Promuovere su Facebook le campagne con costanza
Gli sponsor devono capire – e questo spetta a noi spiegarlo – che i budget si possono allocare anche seguendo due parole chiave: PARSIMONIA e COSTANZA. Se gli algoritmi di Facebook e Instagram ormai penalizzano i post organici e richiedono per forza le sponsorizzazioni, allora facciamole in modo intelligente.
Ovvero: progettiamo campagne social con una diffusione sul lungo tempo, con costanza, non tutte in un botto. Se la campagna di advertising perfetta è lunga e si svolge nell’arco di settimane o mesi, allo stesso modo accade anche per le promo.
Non fare false promesse agli sponsor
Infine, io consiglio sempre di specificare il valore reale della campagna che abbiamo progettato: a cosa serve? Qual è l’obiettivo? Come si misura?
È sempre stato controproducente fare false promesse agli sponsor, promettendo (o millantando) visualizzazioni. Ognuno di noi conosce più o meno bene il rapporto tra i suoi click / pagine viste / visualizzazioni singolo articolo.
Sì, possiamo arrivare a dati di lettura elevati, ma possiamo farlo condividendo i post sponsorizzati con parsimonia, e in un lavoro che durerà anni, con costanza.
Io penso che questo debba avere dei costi a supporto. Non solo inserire i costi delle inserzioni pubblicitarie nelle offerte, manifestandoli apertamente al cliente, ma anche farci pagare di più per la parte ‘amministrativa’: nelle nostre campagne scriviamo articoli, condividiamo post, mandiamo report, facciamo foto e video, mettiamo ancora banner.
Lo stiamo quotando? O, per lo meno, teniamo presente, nelle nostre offerte, che il nostro lavoro non è solo scrivere un post e fare una foto, ma è proprio il corredo professionale di contorno?
A questo proposito faccio una digressione: bisognerebbe decisamente trovare un modo per cui TUTTI i Blogger forniscano dati REALI sulle proprie visite. Più di una volta nella nostra carriera ci siamo trovati in situazioni in cui i blogger millantavano visite che non avevano e non hanno mai avuto. Abbiamo spesso dovuto rattoppare varie campagne, dedicando tempo a consolare clienti delusi e – persino – traumatizzati, dal rapporto con alcuni Influencer.
Quindi mi domando: ha senso aggiungere altri bonus ai clienti, se continuano a ridurre i budget? Loro risparmiano sempre di più, e ci chiedono sempre di più?
Allora, ipotizzo: non sarebbe meglio pagare il giusto (magari anche senza intermediari?), per ottenere un risultato reale e misurabile? Un risultato magari meno esplosivo, meno luccicante e meno WOW, ma evergreen.
[…] già parlato a lungo delle mie idee per incrementare l’efficacia delle campagne pubblicitarie. Oggi aggiungo una seconda parte al tema: come creare advertising originali con iniziative […]